
Il Mercato del Grano in Italia: Tra Speculazione e Agricoltura al Collasso
Il copione che si ripete ogni anno
Ogni anno, proprio nel momento in cui gli agricoltori si accingono a raccogliere il grano, si ripresenta puntuale lo stesso scenario: navi cariche di cereali esteri attraccano nei porti italiani. Non è una coincidenza, ma il primo atto di un meccanismo che si ripete con precisione cronometrica.
L'arrivo massiccio di grano estero provoca immediatamente il crollo dei prezzi interni per cui i cerealicoltori sono costretti a vendere sottocosto pur di fare cassa e coprire le spese oppure a consegnare il prodotto ai centri di raccolta in attesa di quotazioni più proficue, con la conseguenza che gli stoccatori ipotecano i propri guadagni futuri.
L'anatomia di un sistema predatorio
Il modello di business dei mercanti di grano si basa su diversi pilastri, tutti orientati a massimizzare i profitti a scapito dei produttori.
La prima arma dei mercanti è il controllo degli impianti di stoccaggio. Possedere silos significa controllare un anello fondamentale della filiera che la maggior parte degli agricoltori non può permettersi. Questo crea una dipendenza strutturale.
Molti grossisti applicano quello che nel settore viene chiamato "prezzo ivato": invece di riconoscere ai produttori il prezzo dei listini oltre iva, finiscono con il pagare il prezzo dei listini con l’IVA già compresa. Ciò consente loro di garantirsi un 4% di guadagno - corrispondente all’IVA - a scapito dell’agricoltore. La condizione di debolezza contrattuale e soggezione intrinseca induce il produttore a subire queste condizioni.
I prezzi di riferimento si formano sulla base degli scambi dichiarati dai vari operatori, a maggior ragione nei mercati locali. Chi controlla volumi significativi può facilmente manipolare le quotazioni decidendo strategicamente le transazioni da dichiarare. È una forma di cartello mascherata dalla presunta trasparenza del mercato.
L'Assunto Del fabbisogno
Tutto il sistema speculativo si regge su un presupposto apparentemente incontestabile: l'Italia non produce abbastanza grano per il proprio fabbisogno, quindi deve necessariamente importare dall'estero ai prezzi fissati nei listini delle borse merci internazionali. Ma questo assunto nasconde una mistificazione: nel "fabbisogno nazionale" viene incluso anche il grano destinato all'export dopo la trasformazione e quello utilizzato per la trasformazione in derivati cerealicoli destinati all’export e cioè tutto il fabbisogno dell’industria che non coincide con il fabbisogno alimentare del Paese. In realtà, se si considerasse solo il reale consumo interno, l'equilibrio tra domanda e offerta potrebbe essere molto diverso.
Le Conseguenze di un Sistema Malato
Il Collasso della Cerealicoltura Italiana
La prima vittima di questo meccanismo è l'agricoltura nazionale. Sempre più cerealicoltori smettono di produrre grano, non riuscendo a sostenere i costi di produzione. È un paradosso tragico: l’immissione nel mercato nazionale di prodotto estero basato sulla presunta insufficienza produttiva sta creando realmente quella insufficienza, rendendo il Paese sempre più dipendente dall'estero.
I dati del CREA confermano questa tendenza: la produzione di grano duro in Italia è in costante declino, con una riduzione significativa delle superfici coltivate. Secondo le previsioni degli enti di categoria, se la tendenza non si inverte, l'Italia potrebbe trovarsi in una situazione di dipendenza strutturale dalle importazioni entro pochi anni.
Costi Nascosti per la Collettività
Il grano importato porta con sé problematiche sanitarie significative. Le analisi rilevano costantemente la presenza di micotossine, residui di glifosato e, nel caso di cereali provenienti da zone di conflitto come l'Ucraina, anche metalli pesanti. Il grano italiano di qualità viene utilizzato per "diluire" questi contaminanti, ma i rischi per la salute pubblica rimangono elevati.
Il prezzo apparentemente conveniente del grano estero nasconde costi che la collettività paga indirettamente: impatti sanitari legati ai contaminanti, costi ambientali dovuti al trasporto intercontinentale, perdita di sovranità alimentare, desertificazione delle campagne italiane. Questi costi non compaiono nei bilanci dei mercanti, ma pesano sulla società nel suo complesso.
Il meccanismo descritto crea un circolo vizioso perfetto: la speculazione iniziale genera il collasso della produzione nazionale, che a sua volta rende realmente necessarie le importazioni. È una profezia che si autorealizza, con i mercanti che guadagnano su entrambi i fronti.
Nel frattempo, la qualità dell'alimentazione italiana si deteriora e il Paese perde progressivamente la propria sovranità alimentare in un settore strategico.
La necessità di un cambio di rotta
Spezzare questo meccanismo richiede interventi strutturali a più livelli. Serve maggiore trasparenza nella formazione dei prezzi, controlli più stringenti sulle pratiche commerciali, sostegno pubblico agli investimenti cooperativi nello stoccaggio, e soprattutto una rivalutazione dei costi reali delle importazioni che tenga conto degli impatti sanitari e ambientali.
Senza un'azione decisa, l'Italia rischia di perdere definitivamente uno dei pilastri della propria tradizione agricola, consegnando la sicurezza alimentare del Paese nelle mani di speculatori senza scrupoli. La posta in gioco non è solo economica, ma riguarda la salute, l'ambiente e l'indipendenza strategica della nazione.
Il momento della raccolta dovrebbe essere una celebrazione del lavoro agricolo, non l'occasione per l'ennesimo saccheggio della produzione nazionale. È tempo di cambiare copione.
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